“Ancora una volta prendiamo posto”. Mi capita spesso di iniziare così la pratica con il gruppo di meditazione. “Ancora una volta”. C’è qualcosa di rituale nella meditazione, in questo ritrovarsi e ripetersi di pratica giorno dopo giorno.
I vantaggi della ritualità
Repetitio mater studiorum est dicevano i latini che vedevano nella ripetizione la strada per l’apprendimento. E a volte proprio nella ripetizione che la meditazione svela i suoi doni più grandi. Proprio in questa ripetizione facciamo a volte esperienza di impazienza perchè crediamo che la meditazione dovrebbe darci e rivelarci qualcosa subito. In qualche modo lo fa quando appunto ci mette davanti la nostra impazienza, le nostre piccole ossessione e ci invita a stare, a non reagire a non scappare, a incontrarci così come siamo e fare amicizia con quello che c’è.
In effetti questa pratica trova il suo senso nella ripetizione, nella continuità. La parola in lingua pali per meditazione è bhavana e il significato è in realtà coltivare. In questo senso la meditazione è qualcosa che richiede cura, costanza e soprattutto pazienza. Di recente ho scoperto una bellissima analogia che racconta il senso del coltivare. Il meditante è come quel contadino che conosce l’urgenza e l’importanza di certi compiti: arare, seminare, raccogliere e così via. Eppure il contadino non ha controllo su tutto e non sa quando il seme darà i suoi frutti. Ma la gioia consiste proprio in questo coltivare, giorno dopo giorno trovando in quei gesti il senso della pratica e in realtà della stessa vita.
Gli svantaggi della ritualità
Dobbiamo però fare attenzione a non fare diventare anche la meditazione un altro automatismo, un’altra cosa “da fare” per sentirci più buoni, più calmi, più saggi. Oppure a non ricercare nella nostra pratica le esperienze già vissute. Si dice infatti che non c’è niente di peggio di una buona sessione di meditazione perché spesso in quelle successive, cercheremo la stessa esperienza. Ma non potrà mai essere uguale. Un altro modo con cui tendiamo a ritualizzare la meditazione è credere che certe condizioni debbano verificarsi per potere meditare: il silenzio, la calma interiore, il giusto cuscino, il giusto momento, orario, angolo e così via. “La pratica della meditazione è considerata un modo valido per passare dalla confusione alla chiarezza, ma la mente è troppo incline ad attaccarsi alla meditazione, a ritualizzarla e farne un sistema di fede, col risultato di creare una schiavitù dalla pratica che aveva proprio la funzione di liberare dalla schiavitù”.
Così scrive l’insegnante Christina Feldman in un saggio che parla dell’attaccamento e del rischio di trasformare la meditazione in un rituale, in un’altra forma di attaccamento e del rischio di lasciarci affascinare più dalla forma che dalla sostanza della meditazione. Così facendo banalizziamo la meditazione facendola diventare una specie di esercizio. Eppure la meditazione è molto più di questo. A questo proposito, osservando il crescente interesse per la meditazione, lo yoga, la mindfulness e altri percorsi di consapevolezza, possiamo domandarci se siamo più affascinati dalla forma di questo mondo che promette una vita saggia e calma piuttosto che dall’apertura verso la vita così com’è, a noi stessi così come siamo con tutte le nostre ansie e fragilità,
La meditazione della vita
Durante la pausa estiva in cui i ritmi a volte cambiano, può essere difficile mantenere tutte le abitudini che abbiamo preso con la meditazione. Capita anche a me, e ricordo anche tutte le volte che viaggiavo verso casa in Sicilia di non avere il mio angolo con il cuscino, gli orari stravolti e gli spazi condivisi e sentire di non potere meditare come avrei voluto. Per prima cosa è già bello notare questa forma di nostalgia verso la pratica che racconta la nostalgia da noi stessi.
Possiamo anche portare un senso di presenza alle condizioni diverse del momento. Se siamo in vacanza o ci troviamo spostati dalle nostre solite routine, possiamo notare come stiamo. Come scrive il maestro Larry Rosenberg “La pratica ci ricorda costantemente che ogni cosa è degna di attenzione. La formica che cammina sul pavimento, il frutto che state mangiando, ogni respiro. Queste cose sono la nostra vita, momento per momento. Se non le notiamo, non entriamo in contatto con la piena vivacità della vita. È un grosso errore, seppure piuttosto comune, pensare che la pratica implichi soltanto la meditazione seduta. È meraviglioso avere un luogo su cui potere contare per calmarvi (se sedere meditazione vi calma), ma non dovete creare una frattura fra questa parte della vostra vita e il resto, considerando una più importante dell’altra. (…) Vivere con una partecipazione totale comporta essere pienamente presenti in qualunque cosa sia la vostra vita in un particolare momento”.
Non c’è dubbio che la pratica formale e informale siano indissolubilmente legate. Più prendiamo posto nel nostro cuscino di meditazione, più frequenti saranno i momenti di consapevolezza e di risveglio. Tutte quelle volte in cui riaccompagniamo la nostra attenzione a questo momento – e a questo, e a questo – stiamo allenando la nostra capacità di essere svegli. Così facendo ancora e ancora, la meditazione si trasforma in un atteggiamento di risveglio verso la vita tutta.
In questo senso, se nel prendere posto può esserci una qualche ritualità, l’essere svegli è qualcosa di unico e irripetibile e va coltivato momento dopo momento.