La pratica della consapevolezza è una cosa meravigliosa. Lo è ancora di più quando ci rendiamo conto che non riguarda solo noi ma il mondo che ci circonda di cui siamo parte. Meditiamo per imparare a vivere meglio in mezzo ad altre persone. Tutto questo e molto di più fa parte dell’etica, uno dei pilastri fondamenti della pratica.
Non esiste pratica di consapevolezza senza etica e cioè senza la comprensione di quei valori che governano i nostri comportamenti, di cosa è bene, di cosa crea sofferenza e cosa l’allevia. Tutto questo ci aiuta a navigare attraverso le domande della vita invitandoci a domandarci il perché di certe cose.
Nella filosofia buddista non si parla di giusto e sbagliato, piuttosto di salutare e non salutare riconoscendo nella prima categoria pensieri, parole e azioni che portano alla liberazione dalla sofferenza; nella seconda categoria alla creazione di maggiore sofferenza.
È vero che spesso arriviamo sul cuscino da meditazione per un bisogno personale, per una sofferenza individuale; eppure dopo un po’ scopriamo nel meditare in gruppo la nostra interdipendenza. Questa scoperta che facciamo sul cuscino diventa poi un’applicazione in ufficio, in famiglia, con gli amici. Iniziamo a bilanciare le intenzioni delle nostre parole e delle nostre azioni, con l’impatto che avranno su chi le ricevere.
Quindi la mindfulness è prima di tutto una pratica di relazione; si insinua silenziosamente nelle nostre giornate responsabilizzandoci. Ci ricorda che non siamo isole, che le nostre parole, azioni e pensieri avranno un impatto.
La cosa che trovo affascinante dell’etica, è che non si impara a scuola o con i genitori, per quanto questi contesti possano aiutarci a sviluppare una percezione del mondo e degli altri più profonda. Piuttosto sembra che un senso di naturale compassione sia innata in ognuno di noi e la meditazione di consapevolezza funziona come un risveglio, un richiamo a un innato senso di appartenenza e benevolenza.
Sono sempre colpita da come questo senso etico innato emerga silenziosamente nei gruppi dei praticanti. In molti si meravigliano dell’armonia che si crea nei gruppi di meditazione, della fiducia che i partecipanti hanno verso persone di cui non conoscono nemmeno il cognome. Mi piace pensare che il legame si basi su una silenziosa etica che inizialmente approviamo per alzata di mano quando ci impegniamo a parlare solo di ciò che è vero per noi, a ascoltare gli altri con apertura, con sincera curiosità,
Un incontro dopo l’altro scopriamo che la nostra storia è la storia degli altri e viceversa. Un incontro dopo l’altro scopriamo la gentilezza come un modo per incontrare le nostre giornate e l’etica è una naturale espressione della gentilezza. Se veramente teniamo a altri esseri umani, teniamo alla possibilità che niente di brutto possa loro accadere almeno per mano nostra.
Con la pratica aumenta un senso di apprezzamento e rispetto verso il mondo e verso il prossimo. Alcuni degli automatismi con cui incontriamo il mondo vengono messi in discussione e nuove possibilità si aprono quando si inizia a percepire che l’impronta che lasciamo nel mondo non è né piccola né insignificante.
La nostra giornata è costellata da tantissime decisioni che diventano sempre più deliberate e non casuali. Non sto parlando di una lista di comportamenti morali o comandamenti da seguire. Piuttosto un domandarsi: che tipo di impronta desidero lasciare? Quale contributo posso dare nel corso di questa mia esistenza per il benessere mio e degli altri? Risuonano nel mio cuore quei versi di Emily Dickinson che recitano “Se avrò impedito a un cuore di spezzarsi/ non avrò vissuto invano”.
L’etica non è un traguardo ma un percorso costellato da sempre nuove domande, da nuove opportunità in cui possiamo di volta in volta fare la scelta se essere guidate dall’abitudine e l’impulsività oppure dall’intenzione e la consapevolezza.
Chiudo con alcune righe della bellissima Etty Hillesum che rendono bene come il punto di partenza e responsabilità in ognuno di noi è coltivare la pace nel nostro cuore e proprio come succede nella pratica, questa pace finirà per riflettersi anche nelle persone intorno a noi. “Alla fine, noi abbiamo solo un dovere morale: reclamare larghe aree di pace in noi stessi, più e più pace, e di rifletterle verso gli altri. E più pace c’è in noi, più pace ci sarà nel nostro mondo turbolento.“