Se abbiamo praticato almeno una volta nella vita abbiamo probabilmente fatto esperienza di irrequietezza e di apatia. Molto probabilmente, non ci saremo sorpresi dal momento che ciò di cui facciamo esperienza nel nostro cuscino da meditazione, è proprio quello di cui facciamo esperienza nella vita. La pratica è solo una modalità semplificata e amplificata di vedere esattamente dove siamo bloccati.
Due facce della stessa medaglia
Irrequietezza e ineriza spesso convivono. Com’è possibile che questi due opposti possano convivere? In verità si tratta di sue facce della stessa medaglia. Entrambe raccontano la nostra difficoltà a essere presenti. Entrambe dicono: “ovunque ma non qui”, “fammi dormire, fammi scappare, ma non farmi fermare!”.
Irrequietezza
Nella meditazione l’irrequietezza si presenta tanto nel corpo quando nella mente. Quando vogliamo alzarci, interrompere la nostra pratica, quando la mente si perde in un inanellarsi infinito di pensieri, ecco che stiamo facendo esperienza di irrequietezza. Ci ricordiamo improvvisamente di qualcosa di importante che non abbiamo fatto, tutta l’energia che tanto servirebbe per la nostra pratica sembra indirizzata verso altro.
Nei testi antichi, l’irrequietezza viene raccontata come essere schiavi di un’apprensione che va continuamente nutrita. Effettivamente l’oppressione e insofferenza dell’irrequietezza ci fa sentire prigionieri o in trappola.
Inerzia
L’inerzia si presenta sotto varie forme: sonnolenza, torpore, pigrizia, svogliatezza, noia. Non sempre racconta la stanchezza del corpo, piuttosto è indice di una mancanza di energia fisica e mentale. L’inerzia è paragonata a una prigione perchè quando siamo rinchiusi in quello stato, non siamo davvero capaci di vedere cosa accade al di fuori delle mura.
Come scrive la maestra Pema Chodron: “Come combiniamo la nostra intenzione di essere vigili e gentili nella meditazione con il fatto di sederci e addormentarci immediatamente?”
È importante tenere a mente che quelli che vediamo come ostacoli alla nostra pratica, sono spesso i nostri migliori alleati perchè ci mostrano con infinita chiarezza la sfida del momento. Come dice sempre Pema Chodron “Il luogo in cui ci sentiamo schiacciati è proprio il punto nella nostra meditazione e nella nostra vita in cui possiamo davvero imparare qualcosa. (…) Siamo talmente abituati a fugire dal disagio, siamo così prevedibili. Se una cosa non ci piace, diamo la colpa a qualcuno o a noi stessi. (…) La prossima volta in cui non sentirete la terra sotto i piedi, non consideratelo ostacolo, ma un colpo di fortuna. Finalmente dopo tutti questi anni potremmo crescere per davvero”
Smettere di lottare
Per prima cosa, è utile smettere di lottare. Piuttosto scopriamo che possiamo usare qualsiasi cosa si presenta al nostro cuscino di meditazione come un oggetto di pratica. Come ho già detto, ci sono buone, ottime chance che se si presenta mentre stiamo praticando, è già protagonista delle nostre giornate. Per smettere di lottare allora, è importante riconoscere l’irrequietezza o l’inerzia come parte della pratica e come parte di noi. Sotto quale froma si manifestano? Osserviamo cosa succede quando le riconosciamo. Forse iniziamo a giudicarci immaginando come invece dovrebbe svolgersi la nostra pratica (e la nostra vita)? Ultimamente sto lavorando su due aspetti importanti della pratica che sono la disciplina e l’energia.
Disciplina
Quando parlo di disciplina non mi riferisco all’essere severi o rigidi. Questo piuttosto non farebbe bene alla nostra pratica e complicherebbe le cose idealizzando quello la meditazione dovrebbe offrirci o quello che dovremmo provare.
Piuttosto la disciplina racconta l’impegno a onorare l’intenzione di prendermi cura di me, di prendere posto ogni giorno, e in alcuni casi due volte al giorno, con la pratica. Anche se la giornata sembra non permetterlo, anche se è iniziata in modo sbagliato non ci sono eccezioni che tengano, così come trovo il tempo di lavarmi i denti, trovo il tempo per sedere in meditazione.
All’inizio della pratica scelgo di praticare con la gentilezza verso me stessa: questo mi ricorda la possibilità e capacità di accogliere tutti gli eventi, inclusa l’irrequietezza o l’inerzia.
Energia
L’energia o giusto sforzo, racconta l’intensità che mettiamo nella pratica e nella vita. Viene definito giusto perchè non deve essere né troppo, né troppo poco. Quando troppo intenso rischia di bruciare tutto, quando troppo leggero rischia di essere inconcludente.
Mi viene in mente l’immagine spesso usato per raccontare la delicatezza che poniamo se teniamo tra le mani un uccellino: se lo teniamo con troppa forza rischiamo di schiacciarlo e ucciderlo, se invece teniamo le mani troppo aperte rischiamo di farlo scappare.
Da sempre l’energia è un tema con cui mi incontro e mi scontro. Dai tempi dell’università a quelli in azienda: riuscivo a appassionarmi a un tema in modo così totale da bruciarlo o bruciarmi. L’intensità che ponevo allo studio o al lavoro faceva sì che dopo un po’ avessi esaurito il fuoco per continuare a tenerlo vivo con gioia.
Questo può succedere anche con la meditazione: magari ci impegniamo con assiduità tale da dimenticare l’aspetto gioioso della meditazione o a dimenticare la nostra intenzione.
Se non impariamo a riconoscere e misurare l’energia, corriamo il rischio di lasciare presto il cuscino da meditazione perchè avremo provato solo stanchezza e frustrazione.
Di contro, quando siamo troppo leggeri, permissivi, accondiscendenti finiamo per non concludere nulla e magari giustificarci dicendo che siamo stati gentili con noi stessi (mostrando di non avete compreso del tutto il senso della gentilezza).
Il giusto sforzo richiede domandarsi di quanta intensità abbiamo bisogno con sincera onestà.
Ricordarsi della disciplina e dell’energia
Un aspetto importante della disciplina e anche del giusto sforzo è semplicemente ricordarselo! Le nostre buone e nobili intenzioni a volte non sono abbastanza. È necessario ricordarsi di mettere in pratica. Anche questo richiede impegno. Possiamo per esempio:
- riempire la casa di post-it
- metterci un laccio intorno al polso (come ho fatto io)
- tenere un diario e riflettere ogni giorno sulle nostra pratica
- salvare come screensaver del cellulare o del computer la nostra intenzione
- mandarci dei promemoria sul cellulare
- bloccare in modo tassativo la nostra agenda per ricordarci della pratica
- chiedere aiuto a qualcuno con cui viviamo di aiutarci a onorare un impegno
Le possibilità sono infinite. Allora, quando diciamo di non riuscire a essere presenti come vorremmo, quando ci scordiamo della gentilezza, quando ci sentiamo intrappolati nel torpore o nell’irrequietezza, possiamo domandarci: cosa sto facendo per ricordarmi di prendermi cura di me, per onorare il mio impegno, per perseguire la mia intenzione? A noi la scelta.