Se è vero che qualsiasi cosa iniziamo richiede fiducia, avremo tutti fatto esperienza di come sia necessaria una certa dose di energia per lo slancio di partenza di qualsiasi iniziativa. Anzi, quello slancio è proprio energia.
Sforzo o energia?
Possiamo dire che l’applicazione dello sforzo, produce energia. Mi piace particolarmente parlare di energia soprattutto tutte quelle volte che la parola sforzo, per quanto preceduto da “giusto, retto, appropriato” ancora trasmette una qualche resistenza; come se richiamasse quella parte di noi che deve fare qualcosa, richiamando un senso del dovere, un volere ottenere.
In tutti questi casi, e non solo, trovo utile parlare di energia. Nella lingua pali, la parola per energia è viriya che ha in sè anche la radice che racconta lo sforzo eroico. Chi ha conoscenze della tradizione dello yoga ricorderà le posizioni che includono questa parola.
Nella tradizione buddista viryia è la seconda delle 5 facoltà spirituali (per l’appunto segue fede/fiducia); uno dei sette Fattori del risveglio, una delle 10 perfezioni. Si parla anche di giusto sforzo nell’ottuplice sentiero (anche se viene usata un’altra parola).
L’energia è una di quelle caratteristiche di cui facciamo un’esperienza diretta nel corpo, molti infatti percepiscono un senso di vitalità, una vibrazione. A volte per riconoscere la presenza dell’energia, è utile osservare quando ne siamo privi. In quei momenti possim o domandarci se la mancanza di energia è più fisica o mentale.
Nella pratica possiamo riconoscere il fluttuare dell’energia. L’energia iniziare corrisponde spesso all’inizio del nostro viaggio nella pratica di consapevolezza, ci è richiesto uno sforzo maggiore per trovare la giusta motivazione, per creare una nuova abitudine e anche per tutte le volte in cui riaccompagniamo l’attenzione al momento presente quando ci siamo distratti. Quando accade stiamo di usando energia (anche per questo all’inizio la pratica può essere percepita da qualcuno come stancante o frustrante).
Nel tempo, pratica dopo pratica, facciamo esperienza di uno sforzo continuato che probabilmente necessita di meno energia perché sappiamo qual è il lavoro, perché iniziamo a riconoscere i frutti della nostra pratica, perchè ci distraiamo di meno, perché siamo meno alla ricerca di un ottenimento. Nel tempo, gli aggiustamenti che richiedevano tanta energia saranno più naturali. Possiamo per esempio notare la trasformazione che avviene quando siamo più presenti, o quando non siamo più attivati da qualcosa che in passato ci avrebbe portato soffernza o reattività.
Nel tempo, lo sforzo si trasformerà in un’energia sempre più gioiosa.
Energia nella vita di tutti i giorni
E come dico sempre, pratichiamo sul cuscino da meditazione in modo da potere abitare il mondo con maggiore consapevolezza. Possiamo infatti osservare come moduliamo la nostra energia nel corso di una giornata. Proprio come quando andiamo in bicicletta: che sforzo mettiamo davanti una salita, una discesa, quando guidiamo in un terreno asfaltato o in uno irregolare? Se mettiamo la stessa intensità alla fine non solo saremo sfiniti, ma non vorremo più andare in bici; allo stesso modo se non usiamo alcuna intensità ci troveremo fermi doce abbiamo iniziato.
Quanta energia mi occorre?
Come nell’esempio della biciletta possiamo fare esperienza di come ognuno di noi, nelle diverse fasi della vita abbia bisogno di diversa energia. Per esempio avremo bisogno di maggiore energia all’inizio della nostra pratica, o quando siamo di fronte a uno stato di torpore, fisico o mentale. Potremmo avere bisogno di minore energia quando ci accorgiamo che la nostra pratica è sempre orientata all’ottenimento di qualcosa; che piuttosto che incontrarci così come siamo stiamo cercando di realizzare. Spesso questo bisogno di fare, di diventare è anche associato a una forte irrequietezza del corpo e della mente.
In generale, credo sia utile tenere a mente che non esiste una ricetta unica per ogni meditante, e per lo stesso meditante il percorso attraversa diverse fasi. Una poesia che appartiene a una raccolta delle prime monache buddhiste trascritte da Matty Weingast racconta la frustrazione, il senso di smarrimento e dubbio di Viriya. Ci invita anche a riflettere su come il senso della pratica sia proprio nel continuare a praticare; nel nostro caso a continuare a modulare l’energia necessaria per restare sul cammino.
Quando tutti gli altri meditavano, io ero fuori a girare intorno alla sala.
Alla fine sono andata a confessarmi. Sono senza speranza, ho detto.
La sorella più anziana sorrise.
Basta andare avanti, ha detto. Niente rimane in orbita per sempre.
Se questo girare è tutto ciò che hai, perché non fare di questo girare la tua casa?
Feci come mi disse e continuai a girare intorno alla sala.
Se ti ritrovi in parte dentro e in parte fuori, se ti ritrovi attratto da questo Sentiero e anche lontana, posso assicurarti che
sei in buona compagnia
Vai avanti così.
A volte il percorso più diretto non è una linea retta.