Eccomi rientrata da un’emozionante settimana di ritiro con Jon Kabat-Zinn (JKZ), il fondatore del Center for Mindfulness in Medicine Health Care and Society e creatore del programma di riduzione dello stress MBSR.
L’Omega Institute for Holistic Studies, a Rhinebeck NY ha accolto 200 persone provenienti da tutto il mondo, praticanti di meditazione e non, medici, avvocati, manager, ma anche attivisti, pensionati, coppie e single.
La mindfulness è una pratica equa e non conta cosa fai o da dove viene, serve solo avere con un corpo e una mente.
Come sempre, la pratica inizia con il prendere posto, assumere la posizione durante la meditazione, che sia su un cuscino o su una sedia, è una scelta radicale. Non stiamo semplicemente scegliendo di sederci, stiamo prendendo una posizione nella nostra vita così com’è, e questo richiede coraggio e determinazione.
Scopriamo quasi subito che non è facile. Inizialmente possiamo sentirci disorientati. Il primo a venirci in aiuto è il respiro che ci riporta, come una vera ancora, al presente. Poi sono i nostri sensi gli alleati delle prossime giornate. Il tema del ritiro è proprio Riprendere i sensi. Come detto da JKZ, se tutto il ritiro potesse essere sintetizzato in una parola, questa sarebbe “riconoscere”. È infatti il silenzioso ascolto e riconoscimento dei nostri sensi, la porta, anzi le numerose porte per entrare in uno spazio di intimità con noi stessi.
“Perché sono qui?”, questa la domanda leitmotiv del seminario e della nostra pratica. Nel continuo svelarsi e trasformarsi delle intenzioni che ci hanno portato alla meditazione e al ritiro, è diventato chiaro che qualcosa di molto profondo risuona dentro ognuno di noi.
Spesso si confronta la meditazione con l’accordare uno strumento; uno strumento che conosciamo ma di cui spesso abbiamo dimenticato il suono. Ed è quello che abbiamo fatto giorno dopo giorno, pratica dopo pratica, lasciando che lo strumento trovasse il proprio suono.
Non è così diverso da quello che succede durante un corso MBSR dove l’esperienza personale di ogni partecipante è il vero laboratorio di pratica, lo strumento da accordare. Nel momento in cui ci abbandoniamo ai nostri sensi e lasciamo che siano essi a svelarci la realtà per quello che è, iniziamo a ricordare qualcosa di più su di noi. In fondo, uno dei significati della parola mindfulness, traduzione della parola sati in lingua pali, è proprio ricordare.
Nel corso del ritiro abbiamo esplorato la possibilità che la nostra pratica individuale, possa avere un impatto assai più ampio. Come un sasso lanciato su uno stagno crea innumerevoli onde concentriche, la nostra pratica influenza ogni relazione: le persone intorno a noi, la nostra famiglia, la società di cui siamo parte. Pensate che trasformazione nel mondo se riuscissimo a portare questa consapevolezza e intenzione nella nostra pratica.
Mi è tornato in mente un testo di Charlotte Joko Beck che racchiude il senso della fiducia e della responsabilità della pratica. “Praticate con fiducia, sedete tutti i giorni, penetrate la confusione, siate pazienti e nutrite un grande rispetto verso voi stessi impegnati nella pratica. Non è facile. Siamo come neonati. Abbiamo davanti una crescita illimitata. Alla fine se saremo pazienti, se lavoreremo sodo, avremo la possibilità di fare qualcosa per il mondo. Questa è la pratica. Anche decidere di seguirla sta a noi. Può darsi che a molti non sia affatto chiara, e in effetti ci vogliono anni perché divenga chiara, per capire davvero cosa si sta facendo. Fate del vostro meglio. State con la vostra pratica seduta. Sedete e date il meglio di voi. E’ importante perché la totale trasformazione della qualità della vita umana è la cosa più importante che possiamo fare”.
E come se già le emozioni della settimana non fossero state abbastanza, il giorno prima di partire, un’altra grande maestra girava per il campus dell’Omega Institute: Pema Chodron. Ma Pema richiede un post a sè…