Qualche mese fa ho ricevuto nella chat delle mie amiche romane, una foto che mi ritrae assai più giovane con una parrucca bionda e riccia. Mi sono fatta una risata mentre cercavo di ricordare cosa pensavo a quei tempi, cosa sognavo, cosa credevo vero?
Per fortuna non soffro di nostalgia nel guardare le vecchie foto, ma so che non è così per molte amiche che invece patiscono nel riconoscere i tempi che non ritorneranno più o notare come siamo cambiate fisicamente e non solo.
Scoprire che cambiamo
Il modo più evidente di cui facciamo esperienza del cambiamento è attraverso il nostro corpo, le rughe che attraversano il nostro visto e diventano una vera e proprio mappa dei nostri anni. Ma non è solo il nostro corpo a cambiare, anche le nostre idee, i nostri sogni, l’identità che abbiamo costruito intorno a un particolare ruolo. Molto spesso ci si avvicina a un percorso di meditazione proprio per lo smarrimento di cui facciamo esperienza quando un ruolo che abbiamo a lungo rivestito comincia a starci stretto o ci viene strappato. Qualcuno perde il lavoro all’improvviso, i figli lasciano casa, oppure il ruolo di madre che abbiamo sempre sognato non riesce a realizzarsi. Quando è morto mio padre ho percepito lo stesso smarrimento dal momento che nei precedenti 11 anni mi ero definita anche attraverso la sua malattia che aveva cadenzato le giornate, le vacanze, il mio lavoro. Chi ero io senza quella storia?
Ricercare una definizione di sé
La ricerca di un’identità ci sembra fondamentale per farci strada nel mondo. Ci mettiamo una vita intera a volte per costruire un sé a cui diamo molta autorevolezza e che portiamo avanti come uno scudo o una scusa.
Come costruiamo questo sé e perché è così importante? Molto spesso l’identità che ci portiamo dietro è stata costruita nel tempo non soltanto da noi ma da altri che ci hanno affibbiato ruoli, definizioni, comportamenti. Per esempio da sempre io sono stata la figlia saggia, matura, responsabile. Quanta fatica per mantenere questa etichetta e le aspettative degli altri. Quanti sotterfugi per godere di momenti di folle spensieratezza che svincolavano dall’immagine che credevo di dovere mantenere.
A volte, anzi, assai spesso, la definizione di sè passa attraverso il confronto con altri. Ci sentiamo più o meno bravi, più o meno belli, capaci, interessanti e così via. Anche quando ci sentiamo uguali agli altri, il nostro sguardo è sempre in cerca di una definizione che ci rassicuri. Inevitabilmente il confronto ci lascia comunque insoddisfatti e il bisogno è sempre quello di un riferimento, una cornice che ci definisca.
Sì, perché nella ricerca di un’identità cerchiamo prima di tutto rassicurazione; dei punti fissi, dei confini dentro cui riposare e a cui ritornare per conferma e che ci aiuti a prendere decisioni.
Non-sé
C’è un importante insegnamento della tradizione buddhista, uno dei miei preferiti tra l’altro, che è quello di anatta, che può essere tradotto come non-sè. Non si tratta di qualcosa di metafisico; non vuole negare la nostra esistenza. Chiaramente esistiamo altrimenti non staremmo leggendo questo blog. Quello che noi chiamiamo sé è la somma di un corpo, sensazioni, percezioni, comportamenti, coscienza e ognuno di questi non è permanente, non è fisso ma in continua mutazione. La mindfulness, la pratica della consapevolezza ci aiuta per prima cosa a vedere con chiarezza queste definizioni che abbiamo creato o che altri hanno creato per noi. Mentre le riconosciamo possibili, perdono di autorevolezza e scopriamo che non sono un verdetto.
È importante osservare questa caratteristica con un approccio esperenziale, non come qualcosa da credere ma da investigare. Possiamo domandarci:
- quanto identificati siamo con un corpo, con pensieri, luoghi geografici, ideologie, parole?
- quanto affermiamo il nostro sé in relazione agli altri o agli eventi – quanto scegliamo esperienze che possano confermare tutto questo?
Fare esperienza di un’identità in continua mutazione, può portare anche smarrimento. Eppure la consapevolezza del non-sè porta con sè anche un messaggio di grande libertà. Anatta ci permette di domandarci chi siamo in un modo che è libero da definizioni pre-concette, vuol dire iniziare a esplorare la nostra natura; scoprire le nostre potenzialità, di cosa siamo capaci. La mia vita racchiude infinite possibilità e tutte le volte che mi definisco rischio di limitarmi creando dei confini. Posso essere figlia, sorella, madre, moglie. Ma anche tanto altro che non so ancora.
Ricostruire lo specchio
Di recente un’amica mi ha raccontato una storia che più o meno racconta che quando nasciamo uno specchio viene rotto e per il resto della nostra vita cerchiamo di rimettere insieme tutti i pezzi che possano restituirci l’immagine di chi siamo. Mi piace pensare che questi pezzi piuttosto che raccontare una rottura raccontano la molteplicità, e non fissità, di tutto quello che possiamo essere e, una volta messo insieme lo specchio, noi si possa ritrovare un’immagine di libertà. Questa storia mi ha fatto pensare alla celebre poesia di Derek Walcott che racconta dell’incontro che facciamo con noi stessi allo specchio quando ci concediamo di abbandonare certe storie.
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso giunto
alla tua porta, nel tuo stesso specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro
e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo io.
Offri vino. Offri pane. Offri di nuovo il cuore
a se stesso, all’estraneo che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti conosce a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
stacca dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: fai banchetto della tua vita.
__________________________
Chiudo lasciando qui di seguito alcune domande per continuare a esplorare questo tema nella nostra vita attraverso la contemplazione dopo la pratica o la scrittura.
- Con quale parte della nostra identità siamo più identificati? Il nostro corpo, le nostre idee, le nostre esperienze, un particolare ruolo?
- Come ci fa sentire il riconoscimento dell’impermanenza della nostra identità?
- Riflettiamo su un tempo in cui ci siamo sentite svincolate da un ruolo; oppure un tempo in cui non ci riconoscevamo. Come ci faceva sentire?