Ebbene sì, lo confesso. Per anni sono stata una perfezionista e ora mi piace pensare a me come una perfezionista-pentita. Cosa intendo per perfezionista? Nel mio caso voleva dire un continuo affannarmi pensando di non fare abbastanza, di non essere abbastanza brava, abbastanza organizzata sempre inseguita da un costante senso di frustrazione.
Le mie giornate erano costellate di liste di cose da ricordare e da un desiderio di ordine che, da brava perfezionista, percepivo come disordine. Il mio bisogno di allineamento, simmetria, uniformità mal si accordava con il mio cuore che invece percepiva tinte così forti, variegate e contraddittorie.
In questo, i tanti anni di Iyengar yoga non mi hanno aiutato. C’era una sottile aggressione nel sentire che la posizione non era mai abbastanza pulita, e che se solo avessi praticato un po’ di più, con maggiore fervore, allora qualcos’altro sarebbe successo.
Negli anni ho scoperto che non ero sola; negli anni in cui lavoravo in azienda ero circondata da perfezionisti degli eventi, dei numeri, della performance, in generale dell’efficienza. Essere nella media non era contemplato. Ho anche tante amiche mamme che inseguono un legittimo desiderio di essere delle perfette mamme e sono soprattutto delle grandi equilibriste nel continuo tentativo di tenere tutto in ordine.
Molto spesso ci si avvicina alla meditazione per lo stress generato da questo continuo bisogno di performare, o dal senso di inadeguatezza, o dall’avere dimenticato la propria voce nel continuo sforzo di imitare la voce altrui nell’illusoria ricerca di volere essere perfetti. Inizialmente ci incontriamo sul cuscino da meditazione con la stessa voce dura e piena di giudizio, anche nella meditazione vorremmo essere perfetti.
Ma siamo sempre stati così? Da piccoli eravamo probabilmente liberi da giudizi e condizionamenti su come comportarci, parlare, vestirci. Un bambino si sente amato per il fatto di esistere. Poi qualcosa accade e crescendo confonde l’amore con l’approvazione. Tutte le volte che iniziamo a riconoscere i nostri figli in base ai loro successi e alle cose che fanno o dicono, iniziamo involontariamente a rafforzare quel meccanismo di richiesta di approvazione e ricerca di perfezione. Diventando adulti cerchiamo la stessa approvazione e riconoscimento. La più difficile approvazione da ottenere e quella da parte di noi stessi.
La buona notizia? Nessuno è nato perfezionista e possiamo ricordarci come non esserlo. La pratica permette, respiro dopo respiro, di ricordare come eravamo e cioè riscoprirci umani, ritrovarci semplicemente normali e ricordare che essere normali è abbastanza.
Con la meditazione di consapevolezza impariamo a fare amicizia con noi stessi. Questo avviene in vari modi:
- invitandoci a prendere posto, a stare anche quando vorremmo scappare
- invitandoci a fare amicizia con le parti di noi che apparentemente non amiamo (riconoscendo che sono proprio quelle che urlano “amami! guardami!”
- riconoscendo le storie che da tanto, troppo tempo ci raccontiamo e che ci hanno condizionato
- trasformando le nostre aspettative in intenzioni e quindi lasciando andare tutti i dovrei, potrei, vorrei
- scoprendoci meritevoli di amore (il nostro) proprio per quello che siamo in tutta la nostra complessità.
E così respiro dopo respiro ci riconosciamo, o ci incontriamo per la prima volta! Torniamo a casa!
La pratica della consapevolezza mi ha svelato la differenza tra “essere perfetti” e “fare del nostro meglio”. Fare del nostro meglio è abbastanza. Che rivelazione scoprire che non c’è bisogno di essere perfetti ma che va bene essere semplicemente normali. Chandra Livia Candiani scrive parlando della pratica “Non mi chiede di essere esemplare, non mi chiede di essere eroica, non mi chiede di tendere a niente di ideale, non cancella, non acuisce, sta. Con me. Impara a stare. Imparare a essere vasti e navigare ogni mare e scoprire tra onda e onda un porto. Provvisorio, rischioso, eppure proprio per questo affidabile, perchè reale“.
La pratica della consapevolezza allena a ritrovare quella fiducia in noi stessi che sembrava dimenticata. Una fiducia che non si fonda su modelli, sistemi, credenze esterne a noi ma a una capacità, energia che vive nel nostro cuore.
Chiudo con una poesia di Derek Walcott che racconta questo lento riconoscimento, questo guardarci allo specchio e vederci per la prima volta. Un abbandonare i vecchi drammi che ci hanno tenuto in ostaggio, le storie disperate che avevamo creduto vere. Ci riconosceremo non perfetti, ma semplicemente noi stessi così come siamo. Inizia la festa.
Amore dopo Amore
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso giunto
alla tua porta, nel tuo stesso specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro
e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
stacca dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: fai banchetto della tua vita.