Che differenza c’è tra intenzioni e aspettative?
Avevo un’insegnante di yoga che ci ripeteva spesso di non dimenticare mai cosa ci aveva portato alla prima lezione. Credo che volesse ricordarci l’intenzione che ci aveva portato a praticare. Quell’intuizione di uno spazio più profondo che si perde spesso in obiettivi di una posizione da fare, aspettative su come dovrebbe essere la nostra pratica.
Oggi che insegno mindfulness mi ricorda come iniziamo la nostra pratica, incontrando l’intenzione che ci porta ogni volta a prendere posto nel nostro cuscino di meditazione.
Joseph Goldstein un incredibile maestro di meditazione e co-fondatore dell’Insight Meditation Society, dice che decidere di iniziare un percorso di meditazione è a tutti gli effetti il primo insight, il primo momento di piena consapevolezza della nostra natura profonda. Quell’intuizione che abbiamo della nostra vera natura, (Rumi la chiamarebbe “Quella frescura al centro del petto”) quel desiderio di darle spazio perché emerga e si realizzi.
A volte è difficile distinguere le intenzioni dalle aspettative.
Probabilmente quando decidiamo di iscriverci a un corso di meditazione siamo pieni di aspettative. Direi anzi che è molto umano. Volere ridurre lo stress e gli stati d’ansia, essere meno arrabbiati con la vita, superare un momento difficile, combattere l’insonnia. Non c’è nulla di sbagliato nell’avere degli obiettivi, né nell’avere delle aspettative. Forse però è utile incontrarle come tali e riconoscerne la vibrazione. Le aspettative restano sempre nella modalità del fare (addirittura del “fare qualcosa per”): studiare per superare un esame, seguire una dieta per perdere dei chili.
Nella meditazione scopriamo quasi subito che invece siamo in una modalità dell’essere; uno spazio che è già lì, innato, sempre con noi, che magari non visitiamo frequentemente ma che possiamo ricordare un respiro alla volta.
Non è semplice. Viviamo in mondo pieno di aspettative di mille tipi: come dovremmo vestirci, come dovremmo comportarci, che lavoro dovremmo avere, che relazioni mantenere. E poi nel caso della meditazione, come dovremmo sentirci, cosa dovremmo provare, come dovremmo migliorarci. E da lì il passo verso il giudizio di giusto o sbagliato, bene e male, è velocissimo. E ci siamo precipitosamente allontanati dalla possibilità di essere presenti a tutto ciò che emerge fuori e dentro di noi; qualsiasi cosa sia.
Una nota citazione di Pema Chodron racconta l’accanimento che abbiamo contro noi stessi e come finiamo per fare qualsiasi cosa con una logica guidata dal miglioramento e da una continua aggressione verso noi stessi. “Quando la gente comincia a meditare o lavorare con qualche tipo di disciplina spirituale, spesso pensa che in qualche modo migliorerà, la qual cosa è una sorta di aggressione sottile contro ciò che realmente è. È un po’ come dire: «Se facessi un po’ di moto, sarei una persona migliore»; «Se solo potessi avere una casa più bella, sarei una persona migliore»; «Se meditassi e mi dessi una calmata, sarei una persona migliore». Ma la benevolenza – maitri – verso noi stessi non significa eliminare qualcosa. Maitri significa che possiamo ancora essere fuori di testa dopo tutti questi anni; che possiamo ancora essere arrabbiati dopo tutti questi anni; che possiamo ancora essere timidi, o gelosi o privi di sentimenti di autostima. Il punto non è cercare di buttarsi via e trasformarsi in qualcosa di meglio. È farsi amici di ciò che siamo. Il terreno della pratica siete voi o io o chiunque sia, adesso, così come siamo. Questo è il campo, questo è ciò che studiamo, questo è ciò che veniamo a conoscere, con un interesse e una curiosità formidabili”.
Come sappiamo se stiamo seguendo le nostre intenzioni o siamo intrappolati nelle nostre aspettative?
Le intenzioni hanno un che di appagante, sia che le sentiamo realizzate o meno.
Le aspettative hanno sempre un qualcosa di frustrante e sono più create da quella parte di noi che sente che manca qualcosa; che vive in una dimensione del se solo. “Se solo il mio capo”, ”se solo mio marito”, “se solo i miei pensieri mi dessero una tregua allora sarei bravissima a meditare”…
Dunque un continuo (e super stancante) senso di inadeguatezza.
Le aspettative fanno più pensare a un vuoto che cerchiamo affannosamente di riempire. Le intenzioni a un senso di pienezza che percepiamo e che cerchiamo di incontrare.
La pratica è un grande alleato nel vedere queste aspettative – la vita come crediamo che dovrebbe essere, le persone come dovrebbero comportarsi; per non parlare delle aspettive su di noi. Charlotte Joko Beck dice che la difficoltà nel lasciare andare queste aspettative è che a volte le amiamo più della vita reale e quindi non ci prendiamo il tempo di vederla; “si rinuncia alla vita per incapacità di rinunciare ai sogni”.
Allora quando la mente si perde affannosamente nelle aspettative, possiamo sempre tornare alle nostre intenzioni che ci riportano, come il respiro, al momento presente.
A volte può essere difficile anche trovare le nostre intenzioni, ripeto spesso che va bene anche non sentire un’intenzione chiara. Diamo dignità anche al non percepire l’intenzione. Quando portiamo l’attenzione ancora e ancora al momento presente, la portiamo a vedere quello che c’è ora, senza veli e senza sovrastrutture.
Semplicemente vedere. Che sia questa la più profonda intenzione?