Mi sembra che la gioia non venga sufficientemente nominata nelle classi di mindfulness e meditazione. Parliamo di stress, di sofferenza e di resilienza e forse corriamo il rischio di relegare la gioia nello spazio che emerge dall’assenza del dolore.
La scorsa settimana è mancata all’improvviso un’amica, una di quelle persone che io definisco un po’ “sliding doors” facendo riferimento a un film che ben descrive come la nostra vita possa cambiare e prendere una nuova direzione quando viene toccata da un evento o una persona che in qualche modo ne influenza il cammino. Kathy, questo era il nome della mia amica, mi aveva teso una mano in anni difficilissimi, mi aveva offerto un lavoro che poi ne aveva portati tanti altri e che probabilmente mi hanno fatto arrivare fin qui. È stato un giorno triste quello in cui ho scoperto della sua scomparsa e ho lasciato che le lacrime scendessero abbondantemente senza necessità di fermarle.
La stessa sera incontravo il nostro gruppo di praticanti e dopo avere a lungo pensato cosa offrire, ho scelto di parlare e di praticare con la Gioia. Nonostante tutto, la gioia.
La gioia è fondamentale nella pratica della consapevolezza e più volte elencata negli insegnamenti come capacità da coltivare nella pratica.
La gioia è un’intenzione, una pratica, un sentiero da coltivare; un modo di essere e di incontrare la vita anche nella difficoltà. Alcuni versi del Dhammapada recitano:
“Vivi nella gioia, nell’amore,
anche tra quelli che odiano.
Vivi nella gioia, nella salute,
anche tra gli afflitti.
Vivi nella gioia, nella pace,
anche tra chi è agitato.
Guarda dentro, stai fermo.
Liberati dalla paura e dall’attaccamento,
scopri la dolce gioia sulla strada”.
Questi versi parlano dell’imparare a fare spazio alla gioia anche in mezzo a ciò che non ci piace. Imparare a fare spazio alla gioia nelle nostre vite. Sì perché coltivare la gioia richiede pratica. Non vogliamo rincorrere la felicità a tutti i costi, anche perché sarebbe impossibile. Piuttosto vogliamo coltivare la nostra capacità di riconoscere la gioia; e magari essere sorpresi dal fatto che possa esserci gioia anche nella difficoltà e farle spazio.
Mi vengono in mente delle parole di Mary Oliver quando dice:
“Se senti improvvisamente e inaspettatamente gioia, non esitare. Arrenditi. Ci sono molte vite e intere città distrutte o in procinto di esserlo. Non siamo saggi e neanche molto gentili. E tanto non potrà mai essere riscattato. Eppure la vita ha ancora qualche possibilità. Forse questo è il suo modo di combattere, che a volte qualcosa di meglio di tutte le ricchezze o il potere del mondo è successa. Potrebbe essere qualsiasi cosa, ma molto probabilmente lo noterai nell’istante in cui inizia l’amore. Comunque, questo è spesso il caso. Comunque, qualunque cosa sia, non avere paura della sua abbondanza. La gioia non è fatta per essere una briciola. (Non esitare) “.
Mi fa pensare a quando con la mia famiglia abbiamo trascorso un lungo periodo a Cefalù dopo il ricovero di mio papà per un ictus che lo ha tenuto in coma e poi in riabilitazione per mesi. Avevamo affittato una casetta vicino l’ospedale e ogni giorno, più volte al giorno per andare a trovarlo percorrevamo a piedi una strada in mezzo alla campagna e costeggiata dalla vista del mare. Insieme alla profonda e irreparabile sofferenza abbiamo trovato la gioia. Probabilmente il paesaggio mozzafiato di uno degli angoli più suggestivi della Sicilia, il tempo vicino alla famiglia, la vicinanza con ciò che era vero e significativo, il tempo dilatato, le ricette condivise per rendere le pause più dolci. Ancora oggi mi sembra impossibile che insieme a tante lacrime il mio cuore potesse percepire anche tanta gioia. In alcuni momenti deve anche essermi sembrato un peccato, un errore. Forse un senso di colpa deve mi ha catturato qualche momento. Come se non si potesse provare gioia insieme alla sofferenza. Come se il cuore non fosse abbastanza ampio per contenere questo e quello.
Forse per qualcuno è stato così anche nelle settimane che ci hanno costretto a casa per via del COVID. Momenti di desolazione e smarrimento convivevano con la gioia per il tempo ritrovato in famiglia, per una pizza lievitata decentemente, per la semplice ma potente constatazione di essere vivi.
C’è una parola inglese che ben descrive il tipo di gioia a cui faccio riferimento: contentment, in italiano potrebbe rendersi come appagamento ma trovo che la parola inglese racchiuda un senso di contentezza e anche di contenimento; niente di stravolgente eppure sufficiente per constatare che sì, c’è gioia. Una soddisfazione che nasce dalla constatazione che non manca nulla, che va bene così. Allora momento dopo momento possiamo farci la domanda: “Di cosa ho bisogno in questo momento per essere felice? Cosa manca a questo momento?”
Proviamo a farci questa domanda più volte in vari momenti. Credo sia la strada per scoprire l’appagamento nelle nostre giornate e nelle nostre vite. Magari cogliere il nemico principale della gioia, che è la mente irrequieta che continua a giudicare il momento come sempre mancante di qualcosa.