Perché iniziare a meditare? Qualuno inizia per concedersi una pausa dalla velocità della vita: cerca una modalità per fermarsi e riposare. Altri iniziano a meditare perchè desiderano esplorare, conoscere di più di sè e del mondo. Altri si avvicinano alla pratica perchè attraversano un periodo di grande crisi e sofferenza.
Qualcuno dunque è motivato da un’aspettativa di miglioramento, altri da un’intenzione verso cui rivolgere la propria vita. Qualcuno vorrebbe aggiustare qualcosa, altri scoprire perchè si erano sentitii rotti.
Questa riflessione mi porta a riflettere su un insegnamento che è stato trasformativo per la mia vita. Mi riferisco alla consapevolezza che arriva quando possiamo distinguere dove ci troviamo: se in una zona di comfort, di sfida o di pericolo? Cosa ci ha portato a praticare? La ricerca di un po’ di comfort, il desiderio di metterci in discussione, la ricerca di un rifugio dalla nostra sofferenza?
Nella zona di comfort, come dice la parola stessa, siamo a nostro agio. Ci sentiamo ricaricati, abbiamo il tempo di riposare; probabilmente non avvengono grandi trasformazioni ma soprattutto sappiamo di trovarci protetti e al sicuro.
La zona di sfida è uno spazio in cui c’è azione, movimento, trasformazione. Ci sentiamo vivi, messi alla prova, desiderosi di scoprire nuove possibilità.
Nella zona di pericolo facciamo esperienza di immobilità, sofferenza, disperazione.
Ognuno di noi ha una storia diversa con questi tre spazi; nel corso della nostra vita faremo esperienza di queste tre dimensioni e forse ne scopriremo la complessità. Non sempre infatti ciò che sembra confortevole lo è veramente; e non sempre ciò che crea sofferenza non ci permetterà di fare esperienza di gioia.
Zona di comfort
La zona di comfort può avere tante dimensioni, può occupare uno spazio più o meno grande nella nostra vita a seconda del momento che viviamo. Per qualcuno potrebbe essere uno spazio troppo ampio in cui ci siamo adagiati e da cui fatichiamo a venire fuori. Ecco che la pratica ci aiuta a scoprire come rimetterci in gioco, come riscoprire la sfida. In altri casi la zona di comfort è un rifugio più simile a una grotta all’interno della quale ci sentiamo protetti perché fuori da questa, tutto sembra minaccioso e pauroso. Uscire da quel comfort, vuol dire imparare ad affrontare le paure e le storie che da tanto tempo ci tengono in ostaggio.
Anche se prima ho scritto che nella zona di comfort non succede molto, è sbagliato penare che nella zona di comfort non succede nulla. Ci sono stati momenti della mia vita, in cui è stato necessario fermarmi perché potessi prepararmi a qualcosa di nuovo. Anche nell’immobilità avviene una qualche trasformazione.
Zona di sfida
La sfida racconta le possibilità che abbiamo davanti. Ma cosa succede se viviamo tutta la nostra vita in sfida, se non ci concediamo mai di fermarci, se crediamo che sempre una trasformazione, un miglioramento è possibile? Tutto ciò è chiaramente estenuante fisicamente e psicologicamente. Vivere la nostra vita in una continua modalità di sfida può infatti portarci in una zona di pericolo, di sofferenza, di burnout. Ricordo un periodo in cui ero talmente appassionata dal mio lavoro che non mi concedevo di fermarmi neanche nel fine settimana. Il passaggio da una sana sfida, al sentirsi indispensabili e necessari mi avrebbe portato in una situazione di grande pericolo se non addirittura al burnout.
Zona pericolo
A volte la vita ci catapulta senza preavviso nel dolore. In alcuni casi ci sono persone che sono purtroppo nate e cresciute in una situazione di grande sofferenza; per tanto tempo tutto ciò che hanno conosciuto, e dunque la loro visione del mondo, è stata influenzata da questa modalità. Quando la sofferenza è tutto ciò che conosciamo, finisce per diventare anche l’unica modalità per leggere il mondo. Mi viene in mente il detto “se non riesci uscire dal tunnel, arredalo!”. La sofferenza diventa l’unica modalità con cui ci sentiamo a nostro agio: ne conosciamo le dinamiche, le conseguenze e sembra non esserci spazio né per la sfida, né per uno spazio di riposo e nutrimento autentico. Questo crea una certa distanza dalle altre persone, che sembrano vivere una vita così diversa.
Allo stesso tempo, i momenti di grande sofferenza ci aprono a nuove consapevolezze. Proprio nei momenti di maggiore dolore mi sono resa conto di quanta abbondanza c’era stato nella mia vita. In qualche modo questa consapevolezza può essere una traccia da seguire per ritrovare momenti nutrienti.
Ecco che la pratica della consapevolezza ci permette di riconoscere come quello che è sulla strada, è la strada. Cioè quello che ci sembra un ostacolo, è ciò di cui dobbiamo fare esperienza. Ciò che è sulla strada potrebbe essere una nuova sfida che ci porterà una trasformazione.
La pratica della consapevolezza ci permette di vedere dove ci troviamo. Magari riconoscere quali schemi stiamo mettendo in atto più o meno consapevolmente: fuggendo dalle nuove sfide, a volge rifugiandoci nelle nostre certezze fino però a farci sentire immobili, fare esperienza del senso di immobilità che la sofferenza a volte ci porta.
Ricordo di un partecipante che si è accorto di non avere mai avuto una zona di comfort. Per tutta la vita aveva creduto che la propria zona di comfort fosse semplicemente la sfida. Tutta la sua vita personale e professionale e si era svolta in questa modalità di continuo movimento. Effettivamente era molto stanco e non dormiva la notte.
Un’altra praticante si era accorta di quanto la propria storia di malattia avesse caratterizzato tutta la sua esistenza senza lasciare spazio a nient’altro. Anche la sfida o la zona di comfort erano condizionate e modellate dalla sofferenza. Per tanto tempo aveva pensato che non potesse essere altrimenti. La pratica le aveva restituito la lucidità per mettere ogni esperienza al proprio posto, per riconoscere che c’era spazio per ricercare un po’ di comfort e di sfida, senza dovere includere la sofferenza.
Chiudo con alcuni versi giovanili di Eugenio Montale, tratti dalla poesia “A galla”, che mi ricordano il senso di essere in cammino e su un percorso che è sempre da ricominciare.
(…)
E senti allora,
se pure ti ripetono che puoi
fermarti a mezza via o in alto mare,
che non c’è sosta per noi,
ma strada, ancora strada,
e che il cammino è sempre da ricominciare.