Molto spesso chi inizia a meditare desidera ardentemente silenziare quella vocina interna che non smette di commentare tutto quello che facciamo, diciamo, pensiamo, e tutto ciò che altri dicono e fanno. Mi riferisco a quell’abitudine che abbiamo tutti di giudicare. Il vero problema non sta tanto nel giudizio, ma nell’autorità che diamo al giudizio e nel pensare che sia una verità. Quando iniziamo a meditare scopriamo di essere assai più giudicanti di quanto credevamo.
Desideriamo zittire i giudizi perché effettivamente questo continuo vociare è a tutti gli effetti una fonte di stress e fatica. Non c’è nulla di piacevole nell’esperienza del giudicare.
Comprendere il giudizio
Lo stress o sofferenza che ci provoca il giudizio è data dalla separazione che creiamo tra noi e l’altro; Il giudizio prende la forma da una separazione di qualcosa che consideriamo“giusto o sbagliato”, “buono o cattivo”; categorie semplicistiche che parlano più delle nostre idee di valore che della realtà di ciò che sta accadendo. Il giudizio crea distanza: tra noi e gli altri, ma anche da noi stessi. Ci separa da chi siamo davvero e questa separazione interiore è forse una delle forme di sofferenza più profonde.
Se osserviamo i nostri giudizi, possiamo scoprire che raccontano più di ciò che accade dentro di noi che della realtà esterna. E quasi sempre nascono da una condizione dolorosa, una paura o un senso di inadeguatezza che in alcuni casi può trasformarsi in una vera e propria interferenza nella nostra esperienza diretta.
Quando la mindfulness incontra il giudizio
La pratica come abbiamo detto ci allena riconoscere il giudizio. Soprattutto, nel tempo la mindfulness, la consapevolezza ci permette di trasformare questa esperienza rafforzando la nostra capacità di discriminare. Impariamo a distinguere tra le cose, non contro le cose. Si chiama saggezza discriminante, vedere chiaramente cosa accade intorno a noi e in noi stessi. Anche impariamo a vedere quando un pensiero ci porta verso una sensazione di libertà o verso l’attaccamento. Nel tempo notare questo movimento dentro di noi, ci rende più compassionevoli e meno reattivi. Questa è una parte molto importante della pratica.
Mi piace sempre l’immagine della tradizione buddhista che descrive la funzione discriminante della consapevolezza come un guardiano che vigila e protegge le mura della città.
“Proprio come la fortezza reale di frontiera ha un guardiano – saggio, esperto, intelligente – che tiene fuori chi non conosce e fa entrare chi conosce (…), allo stesso modo un discepolo dei nobili è consapevole (…). Con la consapevolezza come guardiano, il discepolo abbandona ciò che è inadeguato, sviluppa ciò che è abile (…).”
Anguttara Nikaya 7.63
Quando meditiamo, quando prendiamo posto, ecco che incarniamo proprio quel guardiano alle mura della città che sceglie come e come intrattenere l’arrivo anche dei giudizi. Dunque la mindfulness, in questo senso, trasforma il nostro reagire e giudicare allenandoci il discernimento.
Praticare attivamente con il giudizio
Come abbiamo detto la pratica della consapevolezza ci rende sempre più abili nel riconoscere la mente giudicante. Accorgerci è dunque il primo passo.
E nel momento in cui ce ne accorgiamo, possiamo anche sorridere. Il tono con cui ci riaccompagniamo è fondamentale. Potremmo infatti giudicarci per il fatto essere stati giudicanti, così da finire in un circuito infinito di sofferenza. Incontrarci con un sorriso benevolo può già creare uno spazio di trasformazione. Poi possiamo osservare più da vicino:
- Il tono della nostra voce, se aspro o amichevole, pesante o leggero
- La motivazione ditero il giudizio: cosa cerco di ottenere giudicando? Qual è il mio bisogno profondo? Proteggermi? Sentirmi speciale? Stabilire una distanza? Affermare una qualche verità?
Non serve investigare troppo all’infinito, quanto piuttosto aprirci all’esperienza del giudizio e riconoscendola come una forma di avversione. Non preoccupiamoci di trovare risposte, magari nel tempo potremmo scoprire pattern, schemi che si ripetono anche nel nostro giudicare.
Due trucchi “fatti in casa”
Joseph Goldstein propone due pratiche semplici per imparare a confrontarci con il giudizio in modo leggero, sempre ricordandoci che il modo con cui siamo in relazione agli eventi è a volte più importante degli stessi eventi.
- Contare i giudizi. Dal mattino alla sera, proviamo a contare tutti i giudizi che ci attraversano. Segnarli uno dopo l’altro. Arrivati al numero 346 non resterà che ridere. Vedere la quantità di giudizi che riusciamo a formulare ci farà tendere conto di quanto poco veritieri possano essere. Accorgersi che i nostri giudizi non sono veri ci aiuterà ad alleggerire il loro peso.
- Il cielo è blu. Dopo ogni giudizio, il maestro ripeteva mentalmente la frase: “il cielo è blu”. Per esempio:“Quella persona ha una brutta maglietta… il cielo è blu.”
Questo per rammentarci che il giudizio è solo un pensiero che passa, come una nuvola. Non ha autorità, non coincide con chi siamo. Semplicemente viene e va.
Chiudo con un brano di Danna Faulds dal titolo “Osservazioni senza giudizio”
Lascia andare quella voce interna dura e appuntita.
È un eco del passato,
Che non afferma nessuna verità su questo momento.
Lascia andare il giudizio su di te,
il vecchio e abituale modo di rimproverarti per ogni inadeguatezza immaginata.
Permetti che il dialogo interno
cresca amichevole e tranquillo.
Spostati dalla critica interiore
e la vita ti sembrerà improvvisamente molto diversa.
Posso dirti questo solo perché faccio,
cento volte al giorno,
la scelta di lasciare andare
la voce che rifiuta di riconoscere chi sono veramente.
Ciò che serve non è il pungolo verso la perfezione,
ma l’intimità – vedere chiaramente e abbracciare quello che vedo .
L’amore e il non giudizio seminano tranquillità e cambiamento.